Leonardo

Fascicolo 9


Maurice Barrès 1
di Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolini)
pp. 4-5
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   Le nostre teorie non sono che soluzioni pratiche analizzate e formulate astrattamente, le nostre credenze risultano dalle nostre azioni; perciò gli storici scrupolosi debbon pesare l'influenza che ebbero sulla Riforma la bile oi Calvino e i bisogni sessuali di Lutero. I libri e la teoria morale di Maurice Barrès non si spiegano senza scoprire la qualità fondamentale del loro autore: Maurice Barrès è un viaggiatore. Non lo e solo in pratica, come dalla rinascita in poi, e specialmente negli ultimi anni, ma un viaggiatore nato e sputato, che rivela le sue attitudini e le sue abitudini in ogni atto, da quando crea i personaggi a quando trova titoli per i libri, da quando formula teorie a quando descrive sensazioni. (Queste mi sembrano tutte le sue direzioni di scrittore: non ha mai intreccio, nè descrizione veramente obiettiva, classica). I suoi eroi han bisogno sempre di viaggiare, ed egli ce li mostra sempre in viaggio; l'Amateur d'àmes per sperimentare la sua sensitiva sorella la porta in giro per la Spna. L'Ennemi de lois appena un processo per anarchia lo toglie all'oscuro insegnamento e gli concede i mezzi di vivere sotto forma di due gentili protezioni femminili, lascia la Francia per viaggiare in Germania e in Italia; il Borghese di Bruges (il suo píù bel racconto, che sembra una novella italiana, dolce ironica e nello stesso tempo simbolica) è un viaggiatore; i suoi libri migliori del primo periodo, (Du Sang, de la Volupté et de la Mort — Un homme libre — L'Ennemi des lois — Amori et Dolori Sacrum —) sono note d viaggio. I titoli perfino, per non parlare degli indici dei suoi libri, sembrano itinerari, nei quali le critiche alle persone e alle idee contemporanee assumono un carattere turistico (Huit jours chez M. Renan — Huit jours chez M. Taine), e la storia stessa appare come un paese da attraversare con qualche fermata alle città più simpatiche (Trois station de psychotèrapie) e con la guida di ciceroni adatti (p. e. i nove poeti e pittori per Venezia che forman col Barres il nuovo Consiglio dei Dieci nell'«Amori et Dolori Sacrum»).
   Da questa sua caratteristica e fondamentale qualità (direbbe il suo maestro H. Taine «qualité maîtresse») sgorga chiarissima e logica la sua teoria: siccome viaggiare significa desiderio di mutare, bisogno di eccitazione continua pel pensiero e per la sensibilità, per vivere energicamente e contínuainente, tenere sempre sveglia attenzione, la volontà dovrà avere il primato fra le facoltà dell'uomo col fine di procurare all'individuo maggiore e più scelta quantità di sensazioni e di idee: il volere al servizio della sensibilità e dell'intelligenza è la regola della vita del Barrès, il canone dí interpretazione e la misura con cui egli valuta opere e individui presenti e passati. Conseguenze della teoria saranno nei suoi libri l'esposizione della metodologia (culte du Moi) di questa formula, la descrizione degli effetti, la ricerca infine e l'apologia dei precursori (Stendhal, i mistici del 600, Serse); quest'ultimo carattere notevole poi, perchè indica un alto grado di coscienza di sé, ogni simpatia essendo un programma, ed ogni simpatia cosciente una direzione dell'imitazione.
   I suoi viaggi non saranno dunque fatti a caso, ne seguiranno l'itinerario comune, o se lo faranno sarà con intenti personali; se visita la Spna, l'Italia, la Francia e la Germania è con una scelta premeditata e dettata dalle simpatie di cui è conscio; l'auto-suggestione naturalmente avrà gran parte nella sua visione delle cose. In Grecia non si curerà del mondo classico (sempre assente dall'opera sua e dal suo carattere) ma più che al Partenone o al Pireo si interesserà alle fortezze innalzate dai Veneti. In Erodoto scoprirà Serse, l'orientale barbaro pieno di sentimento, che gli inspirerà alcune fra le sue più belle pagine, quelle sull'amor delle piante. Cosi negli altri paesi: la Germania sarà il luogo dove intendere la metafisica, come Parigi quello di gustare gli utopisti sociali; Venezia servirà a comprendere Wagner e lo stretto legame dell'amore e del dolore; si recherà a Roma per sentire la voluttà nel cattolicesimo, in Spna per provare la sensazione del sangue; e passando insensibilmente dall'attività creativa dell'immaginazione e del sentimento, a quella dell'azione, si farà mandare al Palais Bourbon, al Bois de Boulogne si batterà in duello, per sperimentare le ultime due sensazioni un po' forti che la civiltà moderna abbia lasciate a l'uomo, la politica e il combattimento.
   Come il suo maestro Taine egli darà per scopo alla sua vita di viver le vite degli altri oltre la propria; con intenti non filosofici, ma sensitivi. Quel che importa a lui, per la sua voluttà cerebrale, non è d'avere un guardaroba fornito, ma di possedere parecchie anime. L'ambiente é un grande artefice di individui: ricollochiamoci nell'ambiente, consideriamo l'individuo sia storico, o sia creazione fantastica, come un opera d'arte (qui


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sta l'importante modificazione del Barrès alla teoria del Taine) e potremo impossessarci del passato, vivere un personaggio storico o di pura fantasia. Le città, i popoli, i paesi, saranno da lui visitati con questo scopo, di risuscitare in sé la vita di certi scelti individui passati, con i dati materiali ancora esistenti, con l'ambiente ancora immutato delle tradizioni popolari, degli usi religiosi, dei monumenti artistici, degli aspetti naturali. L'Escurial servirà per Filippo II, Sevilla per don Giovanni, il lago di Como e Parma per Fabrizio del Dongo, Venezia per Musset, per Mickievizh, per Chateaubriand ecc. La storia sarà pure un campo di scelta, un grande paese aperto al viaggiatore che ardisca di saltare tutto ciò che non s'accomoda a lui, e si fermi soltanto dove trova dei fratelli; saranno nella storia religiosa, gli impressionisti del misticismo, quelli che con i cinque sensi risuscitano la Passione di Cristo, creano con l'immaginazione l'Inferno, plasmano il corpo con la volontà e il sentimento: Loyola e Santa Teresa; saranno nella storia dell'arte il Vinci, come rappresentante della voluttà cerebrale, come il puro intelletto; il Reni e la scuola di Bologna come la più alta cima della evoluzione artistica dell'Italia, che hanno già posto nella pittura il precetto del Barrès: provocare ad arte sensazioni.
   Quello che c'è di strano, è che il Barrès è sincero; tutti dicono il contrario 2 ma lo si può affermare, perchè c'è qualcosa che tradisce la sua sincerità. M. Barrès ha il merito di tutti i pensatori coraggiosi, di inventare fatti e teorie per giustificare o i propri sentimenti, o gli atti, o le tesi (vedi p. e. lo scritto su l'arte toscana in «Du Sang etc.»); ma come tutti i convinti non é abbastanza abile per celare i punti deboli del suo sistema, premunirsi di erudizione (cosa assai facile) saggiare logicamente e tentare la solidità delle sue affermazioni; non vi sono che i non convinti che siano prudenti, e gli oratori non sinceri che sappian convincere il giudice.
   Le gaffes del Barrès ci mostrano invece il contrario, e ci insegnano nello stesso tempo che la credenza e l'immaginazione valgono a creare il reale. Quando per rivivere i personaggi della «Chartreuse de Parme» e specialmente Fabrizio del Dongo, uno dei travestimenti ideali del maestro Stendhal, egli ci descrive le sue impressioni di Parma, dimentica — pur scrivendo pagine ammirevoli — che Stendhal ideò il suo romanzo per Modena, che vi descrisse la corte di Modena, e che la famosa fortezza dove Fabrizio torna per amore di Clelia dopo esserne una volta fuggito, è a Modena — cose queste che tutti sanno, pur non appartenendo alla «Cha-pelle Beyliste». Così senza possedere l'erudizione del prof. Farinelli, si sa che quel Don Miguel de Manara Vicentello de Leca che suggerisce tante belle cose al Barrès, non é però quello che dette origine alla leggenda del Don Giovanni, come pare lui creda. —
   Nel secondo periodo del Barrès non ci occuperemo: sarà un valersi con lui delle sue teorie, e scegliere quello che più cì piace, gettando via e dimenticando il resto. Lui pure e una delle vittime dell' «Affaire» con Coppéé, e con Zola: diventato il primo più lacrimonioso e codino, il secondo più noioso e romantico; una delle vittime con France e con Lemaltre che hanno abbandonato la bella critica soggettiva di un tempo, i fini ironici romanzi della decadenza pana, per le concioni popolari, le commemorazioni di Zola o gli articoli nazionalisti. Maurice Barrès meritava di finire meglio che con la teoria della tradizione, dei diritti della terra patria e dei morti: egli ci lascia due o tre idee, delle belle pagine, uno stile figlio dello Stendhal, nutrito del Memoriale di Sant'Elena, del Codice Civile, degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio, penetrante, incisivo, e cosa rara, ricco di termini della vita intima.


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